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La storia d’amore dell’autogrill più buono d’Italia

Alla fine della scorsa estate ho fatto una lunga, bellissima chiacchierata con una donna che mi ha raccontato la storia della sua famiglia. Una famiglia che all’inizio non era la sua: era quella del marito, ma che è diventata profondamente sua. L’hanno fatta loro, insieme, e ora continua con i figli. Si sentiva il suo orgoglio e la sua fierezza in ogni sua parola.
Il nome di questa donna è Guglielmina Volta.

A volte capita che un’intervista, dopo le domande preparate, finisca in chiacchiere, e sono quelle storie più belle, che ti restano in qualche modo dentro.

Alla fine Guglielmina mi raccontava del marito Diego, morto l’anno prima, che nell’ultimo abbraccio le ha detto: «ho passato degli anni bellissimi insieme a te». E ha commentato con una frase che mi ha colpito molto per la sua dolcezza e un po’ – lo ammetto – mi ha fatto salire il magone: «siamo stati felici anche sull’autostrada».

Sì, perché questa storia lunga sessant’anni si svolge proprio tutta ai bordi dell’autostrada, in un autogrill indipendente sulla A6 – l’autostrada che porta da Savona a Torino – vicino all’uscita di Carcare Est. Si chiama “Autobar Marenco”.

Questa storia l’ho raccontata su Scarp de’ tenis intanto perché è una bella storia, e poi perché questo posto così speciale (e qui sotto vi racconto perché) rischia di sparire. Da mesi in molti si sono mobilitati per salvarlo, ma le cose non si stanno mettendo bene.

Io incrocio le dita per loro, fate il tifo con me.

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Lo chiamano l’autogrill più buono d’Italia.
Qualcuno dice che è anche il più bello. C’è poi chi l’ha definito “gourmet”, e chi “no logo”.

Di etichette gliene hanno appioppate tante, quello che è sicuro è che l’Autobar Marenco, che si trova sulla A6 – l’autostrada che porta da Savona a Torino – vicino all’uscita di Carcare Est, è un luogo unico, diverso da tutte le altre soste autostradali.

Chi lo ha reso così speciale è la famiglia Marenco, che lo ha in gestione dal 1961 e che oggi è alla terza generazione: prima Battista Marenco con la moglie Alda, poi il figlio Diego con la moglie Guglielmina e oggi i nipoti, Massimiliano e Verena.

«Tutto nacque da una proposta un po’ insolita – racconta Guglielmina Volta, che è la memoria storica di questa storia – All’epoca mio suocero Battista aveva un piccolo distributore di benzina a Imperia, e un ispettore della Shell, con cui era in buoni rapporti, gli parlò della possibilità di prendere in gestione questo distributore con bar su una piccola tratta di autostrada. Gli fece addirittura un prestito per aiutarlo a iniziare. Erano anni di fame, qui ci sarebbe stato molto da sudare ma era un’opportunità che guardava al futuro. Convinsero mio marito, che allora aveva solo 13 anni, che in cambio del sacrificio di lasciare gli amici e la sua vita a Imperia gli avrebbero comprato il motorino».

Quel motorino, in realtà, non arrivò mai, ma questo posto divenne la vita di Diego.

Da subito la regola della famiglia fu quella di offrire ai viaggiatori di passaggio cibo buono per ristorarsi: «Abbiamo sempre fatto tutto noi in cucina, con materie prime di prima scelta e a km zero, dalle frittate alle crostate».

Ancora oggi chi si ferma per la prima volta in questo bar, convinto di trovare l’ennesimo anonimo bancone con panini Camogli e Rustichelle, sgrana gli occhi davanti a tanto ben di Dio: panini con frittata e pancetta, col vitello tonnato alla piemontese o con il lardo valdostano, salsiccia di Bra con i crauti o al tartufo, focaccine con polpo al vapore…

Nel 1970 al team si aggiunge Guglielmina. «Avevo fatto il liceo classico, stavo frequentando l’università ma poi mi sono innamorata di Diego. Era un uomo affascinante, intelligente, amante dell’arte… l’avrei seguito ovunque».

In realtà, sono sempre rimasti qui. Giorno e notte.

«Abbiamo vissuto sempre nel retrobottega. Ci ho fatto quasi i figli qui, sono tornata qui con la bambina a quattro giorni dal parto, le facevo il bagno nel lavello dove si lavano le mani i benzinai.
C’era una sola stanza fino al 1994, quando abbiamo ristrutturato completamente l’autogrill e abbiamo ricavato ben due camerette e una cucina. È diventato un lusso».

Una casa Guglielmina ce l’ha in paese, da qualche anno, ma qui vive ancora Massimiliano, oggi 48enne e gestore del bar insieme alla sorella da quando il papà Diego è morto, lo scorso anno.
È stato lui, dicono i familiari, il vero artefice di tutte le trasformazioni dell’area di sosta, la mente che ha pensato e voluto abbellimenti e servizi.

D’altronde questa è in pratica la loro casa, per cui il giardino rigoglioso e ben curato è sì un luogo di riposo per automobilisti, motociclisti e camionisti di passaggio, ma è anche il giardino di casa loro, con tanto di frutteto e angolo delle erbe aromatiche.

Sui tavolini, all’interno e all’esterno del bar, ci sono vasi di fiori. Ce ne sono persino nei bagni, che sono sempre puliti e curati. Ci sono sculture in terracotta, installazioni e opere d’arte commissionate da loro e disposte negli spazi verdi: una sorta di museo on the road.
Sono stati tra i primi a realizzare un’area per i cani.
C’è una bella area giochi per i bambini.

Ovviamente per tenere in piedi tutto questo non sono solo loro tre: oggi hanno tredici dipendenti.
E a lavorare, negli anni, spesso hanno preso con loro ragazzi che avevano bisogno. Di un lavoro, e anche di un sostegno.

Ci sono stati ragazzi della zona e altri che venivano da più lontano, che uscivano dal carcere o da comunità di recupero per tossicodipendenti. «Alcune esperienze sono andate male, molte altre invece sono state una gran soddisfazione – ricorda Guglielmina. – Mi viene in mente un ragazzo che si era tirato fuori dalla droga e continuava a dirci quanto fosse felice di stare con noi. Qualcuno invece è già morto».

«La storia del cuore», come l’ha chiamata lei, è quella di un giovane etiope che era stato segnalato loro da una volontaria della Caritas locale.

«Non sapeva quasi nemmeno l’italiano. E poi, piano piano, ha imparato tante cose. È stato con noi qualche anno e poi ha raggiunto il fratello in America: lì ha potuto studiare e oggi ha due lauree. Ci sentiamo ancora, ci ha mandato le foto della cerimonia di laurea».

Anche se forse la vera “storia del cuore” che fa venire gli occhi lucidi, in tutta questa faccenda, è proprio quella tra Guglielmina e Diego.
«La nostra è stata una grande storia d’amore. Ci siamo sposati quando nostro figlio aveva già sei anni, siamo sempre stati una coppia… vivace. L’ultima cosa che mio marito mi ha detto, abbracciandomi proprio alla fine è stata: ho passato degli anni bellissimi insieme a te».

Due cuori e un autobar. «Siamo stati felici sull’autostrada».

Eppure questa storia potrebbe non avere un lieto fine. Perché ora un piano governativo di razionalizzazione delle aree di servizio autostradali sta rivedendo le concessioni e rimettendo a bando le aree.

La famiglia Marenco non sa come andrà a finire, ma pare che non possano partecipare alla gara nemmeno con una manifestazione di interesse perché non hanno i requisiti richiesti. Requisiti che difficilmente un piccolo privato, una società a gestione familiare potrebbe avere.

«Noi vorremmo solo continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto. La nostra speranza è che possa vincere la gara un altro privato e non un grande gruppo, che capisca il valore della nostra gestione e ce la affidi nuovamente perché questo luogo possa continuare a vivere e essere offerto a chi di passaggio. Molti stanno sostenendo il nostro appello, abbiamo molti clienti fissi, sia viaggiatori, sia locali. Ci sono addirittura i nipoti dei nostri primi clienti che continuano a fermarsi qui».

E se dovesse andare male?

«Non lo so – conclude Guglielmina, che non si lascia abbattere. Mi dispiace perché questa è la nostra vita e speravo potesse essere una casa sicura anche per i miei figli. Io tutto sommato ora sono in pensione, potrei stare tranquilla, ma mi preoccupo per loro. Ho in testa idee interessanti. Ci resterebbero tutte le opere d’arte che sono di nostra proprietà. Mi piacerebbe fare qualcosa che ci dia un’entrata per vivere con dignità, non abbiamo mai avuto l’ambizione di diventare ricchi, ma che allo stesso tempo sia utile, bella e alla portata di tutti».

Come un angolo di felicità ai bordi dell’autostrada.

5 commenti

  • Marzia

    Letta tutta d’un fiato questa storia di famiglia, più che di imprenditori. Auguro a Guglielmina e alla sua “piccola attività” di poter salvaguardare questo spazio!
    Spero un giorno di leggere il finale di una “battaglia vinta”… Cara Marta, tienici informati, se riesci.

  • Armando Ficcarelli

    Io devo spesso prendere la Torino savona per lavoro e devo scendere ad altare. Puntualmente salgo dalle scale per mangiarmi qualcosa da loro. Immancabile il panino con carne cruda e tartufo bianco oppure la salsiccia di Bra. Questo è l’esempio di come lo stato non capisca niente di territorialità e di tradizione

    • Marta Zanella

      Scrivere bandi che tengano conto di tutte esigenze economiche, organizzative, ecc di una grande rete di infrastrutture e contemporaneamente delle molte peculiarità di un territorio nazionale immagino non sia semplice. Certo uno studio più approfondito della realtà esistente per tenere conto di di ciò che già c’è e funziona bene, *prima* di scrivere il bando, sarebbe una cosa opportuna… Detto questo, siamo in Italia, e speriamo che – come si trova la scappatoia per cose poco lecite – la si trovi anche in questo caso per salvaguardare l’eccellenza.
      Grazie Armando per essere passato di qui! Salutaci la fam. Marenco al prossimo panino

  • Rosa hartvig

    Spero che tu sia la guglielmina che ho conosciuto a scuola.ti auguro ogni bene.non ti lasciare divorare dalla burocrazia.ti scrivero’.bacissimi rosangela

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