Visita all’Abbazia di Santa Maria di Staffarda
Da un po’ vi volevo raccontare di questo luogo in cui siamo stati in primavera, di ritorno dal weekend a Paesana, piccolo paese del cuneese ai piedi del Monviso.
Così come i castelli, ci piacciono molto abbazie e monasteri: permettono di visitarli immaginandosi in un’altra epoca, dove gli uomini vivevano diversamente, usavano oggetti diversi, vestivano in altro modo… eppure questi luoghi hanno attraversato secoli e epoche e oggi ci siamo noi, qui, ora.
A una decina di km da Saluzzo, nel comune di Revello, c’è l’Abbazia di Santa Maria di Staffarda.
Ci siamo arrivati non dalla strada provinciale, ma imboccando un lungo viale alberato, con la polvere dello sterrato che si alzava nel caldo al nostro passaggio.
Insomma, come erano le strade quando l’abbazia era in piena attività.
Fu fondata nel 1135 dai monaci cistercensi a cui il Marchese di Saluzzo donò questo terreno, all’epoca incolto, paludoso e boscoso.
Come loro prassi, i monaci lavorarono sodo e in pochi anni non solo costruirono la chiesa, il monastero e tutti gli edifici collegati, ma bonificarono il terreno e lo resero, nei due secoli successivi, un importante centro agricolo e commerciale.
Restano a testimonianza di questo, all’esterno del monastero vero e proprio, il grande porticato dove si svolgeva il mercato – oggi allestito con tavoloni per il pic nic – e il grande edificio a due piani della foresteria, costruito parallelo alla chiesa, che ospitava i pellegrini per mangiare e dormire. Oggi si può vedere il piano terra, rimasto intatto: un lungo salone a due navate.
L’abbazia ci è sembrata “facile” da visitare con le bambine: intanto grazie all’ausilio delle audioguide, che si possono noleggiare all’ingresso, e che ci hanno raccontato la storia di questo luogo.
L’abbiamo ascoltata seduti sui muretti del chiostro, mentre ci godevamo la pace del luogo.
È una visita che non richiede molto tempo, noi ci abbiamo messo un’oretta prendendocela comoda e risentendo alcune spiegazioni, tornando indietro e concedendoci il tempo di rispondere a tutte le domande delle bambine.
L’audioguida spiega quali erano le funzioni di ciascuna sala visitata: il refettorio, la sala riscaldata per i lavori dei frati che durante l’inverno avevano bisogno di tenere le mani calde e ben attive, o ancora la sala capitolare, dove ci sono le sedie diverse a seconda del ruolo di chi vi sedeva, e sono ancora percepibili le divisioni degli spazi a cui potevano accedere i monaci “capitolari” ma non i “conversi”.
Una curiosità che ha affascinato molto le piccole è la sala dei pipistrelli:
non vi si poteva accedere perché in primavera ed estate è occupata da una grandissima colonia di 1200 pipistrelli, quasi tutte pipistrelle in verità, che vengono qui a “nidificare”, a partorire i loro cuccioli e svezzarli.
Sono monitorati, per studio, da telecamere a infrarossi.
Della grande chiesa in stile romanico-gotico, tutta bianca e rossa, più che ammirare le opere d’arte conservate, ci siamo improvvisate in un gioco “trova le differenze” verificando quello che l’audioguida ci stava raccontando sulle volte a crociera, e cioè che ciascuna campata era differente dall’altra per forma e dimensione dei pilastri e dei cordoni, per decorazioni, che simboleggiano diversi momenti della storia della salvezza, per i capitelli.
L’altra curiosità è stato scoprire che inizialmente la chiesa non aveva un portone d’ingresso nella facciata principale, perché, dovendo servire solo ai monaci che vi accedevano dal chiostro, non era necessaria una grande apertura verso l’esterno.
Infine, la storia che ha affascinato di più le bambine è stata quella dell’osso del pesce.
Si dice che, durante una terribile carestia, i monaci stavano per morire di fame, perché tutte le scorte erano esaurite. Pregarono Dio di aiutarli in quel difficile momento, e poco dopo, in un canale vicino all’abbazia, trovarono un enorme pesce che permise loro di sfamarsi per quaranta giorni e così sopravvivere.
Oggi l’osso di quell’enorme pesce è ancora appeso a un muro del chiostro.
Probabilmente si tratta di una costola di un grosso vertebrato, ma la leggenda nacque perché vicino all’osso c’era la scritta “piscis prodigiosus”.
Vera o non vera, questa storia le ha conquistate più di ogni altra cosa ed è entrata negli annali delle nostre storie preferite collezionate in giro per l’Italia e l’Europa.
Come visitare l’Abbazia di Staffarda:
Dove si trova: Piazza Roma, 2 – Frazione Staffarda, Revello (Cuneo)
Telefono: 0175-273215
Biglietti:
intero: 6,50 euro
ridotto: 4,50 euro
over 65 anni: 3,50 euro
under 11: gratuito