addio a roberto zago
a Milano,  Incontri

Addio a Roberto Zago, uomo del teatro in oratorio

La prima volta che lessi il nome di Roberto Zago fu sul copione di “Quando il cielo decide, che mi mise in mano don Francesco quando ero in quarta elementare.
Era il mio secondo teatro in oratorio, e sicuramente uno dei due che più porto nel cuore.

Ne sono seguiti altri di cui lui era l’autore, alcuni recitati (ho smesso da adolescente) e altri letti.
Su qualcuno ho versato fiumi di lacrime.
Tutti mi hanno insegnato qualcosa.
Per me, lui allora era solo un nome scritto lì, sopra il titolo.

Lo ritrovai anni dopo in una rubrichina, sempre dedicata al teatro, pubblicata nell’inserto domenicale di Avvenire. In quel periodo non mi persi una settimana.
Non facevo più teatro, e non l’avrei più fatto, ma la riconoscenza per quello che mi aveva insegnato quell’esperienza non l’ho mai persa.
Erano anche gli anni in cui era appena morto don Francesco, e forse quel nome in quella piccola rubrica serviva a tenere un filo, una sorta di legame vivo.

Otto anni fa, mentre programmavamo la pagina della redazione ragazzi del mensile parrocchiale dedicata alle esperienze di teatro nei decenni in oratorio, mi venne in mente di provare a contattarlo e portare le ragazze a intervistarlo.
Io ero un po’ emozionata, lui fu gentile, appassionato, carico di aneddoti e racconti.
Ci spiegò la storia del teatro e confidò la sua.

Lui, che veniva mandato a forza in oratorio da suo padre, scoprì lì, a 12 anni, il teatro, e non lo lasciò più per tutta la vita.

«Il teatro negli oratori e nella nostra diocesi ha una tradizione plurisecolare – ci raccontò. – Addirittura nel Cinquecento i gesuiti a Milano facevano teatro. Due secoli dopo, Federico Borromeo scrisse dei piccoli testi per animare i cosiddetti ricreatori, una sorta di pre-oratori dove si ritrovavano i ragazzi allora».

Ci spiegò perché per lui il teatro è una formidabile occasione educativa e formativa.

Per fare teatro in oratorio – ci disse – bisogna avere dei testi giusti, poi un regista-educatore, infine dei ragazzi che abbiano la voglia di realizzare un bel teatro. Attenzione: la voglia, non la capacità. Dai ragazzi non si esige che sappiano fare teatro, ma che lo facciano al massimo delle loro possibilità».

Lo incontrai di nuovo, per caso e con grande gioia, tempo dopo, quando lavoravo in curia e lui veniva ogni mese a portare il suo testo per la rivista del teatro.
Ogni volta era l’occasione di una chiacchierata. Aveva sempre racconti, consigli, e mi lasciava sempre qualche domanda pungente.
Era un po’ come un nonno tanto dolce quanto carismatico.

Se n’è andato due giorni fa, per lui è calato il suo ultimo sipario.

«Il teatro esiste da duemilacinquecento anni e esisterà sempre. Perché il teatro lo fa l’uomo con la sua carne, con la sua anima, con il suo sangue, con i suoi nervi, con i suoi limiti, con la sua voce, con tutto!
Fino a che esisterà l’uomo, esisterà anche il teatro», diceva lui.

E io spero che nei suoi testi, negli oratori che fanno teatro, continui un po’ a vivere anche lui, la sua passione, quel modo di educare tanto speciale.
Mi piacerebbe che molti altri bambini, come me allora, possano imparare ancora molto da lui.

Se volete, quell’intervista potete risentirla qui sotto, con la sua voce.
Per me è una bella perla di riflessione.

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