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Pensieri

I nostri (splendidi) quattro anni di asilo nido

È passato un mese esatto dal suo ultimo giorno di asilo nido, e tra pochi altri saremo già dentro la nuova avventura della scuola dell’infanzia anche per Clarotti.
Non è la prima volta che facciamo questo passaggio, l’abbiamo già fatto con Nene.

La differenza che questo è stato l’ultimo giorno anche per noi. Non ha finito l’asilo solo Clara, l’abbiamo finito tutti.
Abbiamo chiuso un’esperienza di quattro anni che per noi è stata straordinaria.

Di solito, quando in rete si parla di asilo nido, si scatena il dibattito tra due fazioni: chi ha portato i figli al nido difende la propria scelta contro chi ha lasciato i figli con i nonni, e viceversa.

Spesso ho la sensazione che ciascuno cerchi di legittimare come migliore la propria soluzione più per la propria coscienza che per convincere gli altri, anche perché molte volte in entrambi i casi la scelta è obbligata.
Almeno un po’.

Il fatto è che chi ha i nonni a disposizione magari vorrebbe anche mandare i figli al nido, ma si sa, i nidi costano e i nonni sono una scelta più economica.
Chi non ha i nonni vicini o disponibili, non ha molto da scegliere: nido o tata, comunque c’è bisogno di un supporto – almeno inizialmente – estraneo.
(Perché con il tempo, e c’è voluto davvero molto poco, le educatrici del nostro nido non sono più state estranee: anzi, sono state punto di riferimento per tutta la famiglia).

asilo nido un mare di coccole

Non credo che ci sia una scelta giusta o sbagliata: penso che ogni famiglia abbia la propria, personale scelta giusta per sé, e non è detto che vada bene per un’altra famiglia.
Per noi, che avevamo i nonni a disposizione, l’asilo nido è stata una scelta precisa, una proposta educativa che abbiamo voluto dare alla nostra prima figlia (e poi, di conseguenza, l’abbiamo regalata anche alla seconda).

Abbiamo optato per un asilo che ci consentisse un part time molto flessibile: che desse una routine sicura alla bambina, che venisse incontro ai miei orari elastici di lavoro, che consentisse di passare alcuni giorni o ore con i nonni.

Quello che abbiamo vissuto non è stato un tempo di baby parking, seppur con belle proposte: è stato per noi un vero e proprio percorso, che non ha riguardato solo le bimbe, ma anche noi genitori, coinvolti nei progetti, in colloqui, in tanti scambi e una bella coordinazione tra l’impronta educativa al nido e quella a casa.
Ci sono stati passaggi difficili, crisi dei due anni, spannolinamenti rimandati, e per noi le educatrici del nido sono sempre state sostegno, consiglio, accompagnamento, il riferimento da chiamare quando c’è stato bisogno di un confronto.
Ecco, ci sono le madri che chiamano ogni due per tre il pediatra, io chiamavo il nido.

 

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È stato un tempo lungo in cui siamo cresciuti tutti: abbiamo portato due neonate e ci siamo portate a casa due bambine con un bel bagaglio di risorse per affrontare il loro prossimo salto.
Siamo cresciuti noi come genitori, anche nel confronto con delle professioniste che hanno voluto molto bene alle nostre bambine.
La cosa che mi commuove forse di più è stato vedere come anche i nonni siano stati coinvolti: non sono mai stati quelli che “accompagnavano e basta” le bimbe, e andavano a riprenderle. Anche loro sono sempre stati parte di questo percorso educativo.

Ci sono state anche le feste dei nonni, dove invece di fare un lavoretto per loro, sono stati invitati a passare una giornata al nido con i loro nipoti.
E siccome sono due generazioni smart, quella dei piccoletti e quella dei nonni moderni, si sono pure preparati l’aperitivo, insieme.

asilo nido un mare di coccole

D’altronde, questa della partecipazione delle famiglie alla vita dell’asilo – così come la partecipazione anche alla vita del paese, e infatti i nostri bimbi li conoscono tutti i commercianti della zona, a partire da “Nonno Nic”, che li ha visti diventare grandi dal suo negozio di formaggi – è una delle caratteristiche distintive dell’approccio seguito dal nido che abbiamo frequentato.

Si tratta del cosiddetto Reggio Approach, filosofia educativa che parte dall’idea che il bambino sia portatore di forti potenzialità di sviluppo, che apprendono e crescono nella relazione con gli altri.

Quello su cui si basa questo approccio educativo, nato nelle scuole dell’infanzia comunali di Reggio Emilia e oggi conosciuto in tutto il mondo (tranne che in Italia), è l’idea che il bambino abbia “cento linguaggi”, e tramite i diversi spazi e luoghi allestiti nello spazio asilo, i cosiddetti “atelier”, venga offerta loro la possibilità di avere incontri con più materiali, più linguaggi, più punti di vista, di avere contemporaneamente attive le mani, il pensiero e le emozioni, valorizzando l’espressività e la creatività di ciascun bambino e dei bambini in gruppo.

Noi, a casa, abbiamo rivissuto le loro giornate attraverso i loro racconti delle scoperte nella stanza buia, delle luci colorate e delle ombre sul muro: di tutte quelle cose scontate per gli adulti, che raccontate invece con le parole sbocconcellate e l’entusiasmo di una bambina di due anni ti costringono a riscoprire un altro punto di vista.

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Delle gite nel bosco a giocare con le pozzanghere e delle pizze mangiate sugli specchi del caleidoscopio.
Della spesa al supermercato, otto bambini in due carrelli, per fare poi il pesto home made il giorno dopo.
Dei secchielli di neve e dei piedini nella schiuma da barba.
Dell’entusiasmo di aver sentito il vuoto nella pancia venendo giù dallo scivolo altissimo, e poi la gioia di finire giù nell’abbraccio di qualche piccolo amico.

Quegli amici che sono stati così diversi per una e per l’altra di loro: una con il suo gruppo, tutti della stessa età, con cui ha imparato a camminare, a dormire, a giocare, a parlare, persino a litigare e ad andare in bagno, tutti insieme, in sessione comune che guai ad andarci da sola.
Quegli amici i cui nomi erano ripetuti come una litania ogni sera, all’infinito fino ad addormentarsi.

E per l’altra le sue due amiche del cuore – loro, monelle come tre moschettiere – e poi anche gli altri, quelli piccoli che ha accudito con un affetto che non mi aspettavo, e quelli grandi che sono arrivati dopo e con lei fanno il salto alla scuola dell’infanzia.

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Oggi loro riaprono, e noi per la prima volta da quattro anni non ci siamo.
Buon lavoro, ragazze, buon lavoro bimbi, ci mancate già.

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L’asilo nido che abbiamo frequentato noi si chiama “Un mare di coccole” e si trova a Bulgarograsso (Co), vicino alla chiesa in via Cesare Battisti 3.
Oltre a seguire il “Reggio approach”, si tratta di un nido bilingue, hanno un’educatrice che con i bimbi parla esclusivamente in inglese. È un nido piccolo con una dimensione – anche degli spazi – molto familiare.
Hanno un nido “gemello” a Lurago Marinone (Co), più grande: si chiama “Il nido dei cuccioli”.

Uso questo post per dire grazie a Licia, Stefi, Diletta, Giulia, Mary, Fausta, Lory e a tutte le ragazze che sono passate. Rigorosamente in ordine cronologico, non di importanza: siete state tutte importantissime.

2 commenti

  • Chiara

    Cioè, mi sono quasi commossa io che non c’entro niente!
    Io faccio parte della categoria 100% nonni, ma mi sarebbe piaciuto molto far fare l’esperienza del nido, anche solo part time, ai bimbi. Con il secondo in parte ho potuto fare una cosa del genere perché in oratorio c’era lo spazio gioco 0-3 per tre mattine a settimana, e almeno la parte di socializzazione Michelino l’ha sperimentata.
    Siete stati proprio fortunati a trovare questo tipo di nido, e bravissimi a saperla apprezzare e valorizzare.
    E grazie del racconto (as always 😉 )

    • Marta Zanella

      Consapevole della fortuna, così come sono consapevole che Nene soprattutto aveva tanto bisogno di stare con altri bambini, lo è tutt’ora, per questo credo nell’importanza per lei di aver avuto questa opportunità.
      Poi si è rivelato importantissimo anche per noi.
      Ovviamente so che non per tutte le famiglie è uguale, non tutti i nidi sono uguali, non tutti i nonni sono uguali.
      Ma per noi è stato davvero perfetto così!

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