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Pensieri,  viaggi

I 10 luoghi imperdibili a un’ora da Milano… Anzi, no.

Il primo post dell’anno è in realtà l’ultima riflessione del 2022.
L’occasione sono stati gli ultimi due giorni in giro e un articolo in cui mi sono imbattuta che, in due modi diversi, hanno risvegliato una riflessione che facciamo da tempo, a voce e, a volte, sulle bacheche social

(c’è un bel post di Letizia Dorinzi di Incinqueconlavaligia, che stimo molto: “Di turismo responsabile e pensieri sparsi“)

si parla di turismo responsabile.

Se ci seguite sui social, avrete capito che siamo piuttosto allergici ai luoghi pieni di gente e agli eventi di massa che attirano molti turisti.

Non è che li evitiamo del tutto, ma se possiamo – visto che i nostri tempi per viaggiare sono quelli delle vacanze scolastiche e quindi le località più famose sono affollate – cerchiamo almeno orari meno gettonati (come è successo quest’estate alla casa di Monet a Giverny, in Normandia, o abbiamo fatto quando abbiamo visitato la casa di Babbo Natale a Riva del Garda, per esempio).

Al giardino delle ninfee di Monet, a Giverny, siamo entrati in orario pranzo. Quando è arrivata la folla del pomeriggio, siamo scappati.

Ma al di là delle nostre preferenze personali e allergie alle folle, è proprio il concetto di “andare tutti negli stessi posti” che mi mette profondamente a disagio.

La prima cosa che ha scatenato la riflessione di fine anno è stato un articolo su Il Post (“Finire nella lista dei patrimoni dell’umanità è anche un rischio“):

l’articolo mette in evidenza come, se da una parte l’inserimento nella lista Unesco porta benefici ai luoghi che “protegge”, c’è anche il rovescio della medaglia perché il turismo, quando diventa troppo, può diventare anche insostenibile dal punto di vista ambientale o sociale.

Penso, già da tempo, che lo stesso discorso valga per moltissimi altri luoghi, anche molto più piccoli e minori. Anzi, forse più sono piccoli e particolari e peggiore è il danno che si rischia di fare, quando quei luoghi diventano così famosi da attirare più persone, turisti, visitatori di quanto possa “assorbirne” e reggere, senza snaturarsi.

A volte mi chiedo quanto siano deleteri certi post dal titolo clickbait “Un paradiso a un’ora da… [solitamente Milano]”.

Intanto, se controllate al volo su Maps, lo vedete che non è quasi mai solo un’ora.

Comunque, nel caso dei luoghi di Lombardia (parlo di questi perché è la realtà che conosco meglio essendo la mia regione) la distanza di un’ora/un’ora e mezza da Milano li rende a portata di auto da un’enorme bacino di utenza.
La Lombardia conta 10 milioni di abitanti, un sesto di tutta la popolazione italiana.
E soprattutto nelle due estati del Covid, l’aumento del turismo di prossimità ha portato alcuni luoghi ad essere presi letteralmente d’assalto.

Proprio per questa capacità di muovere grandi numeri di persone con grandi promesse, bisognerebbe evitare toni sensazionalisti e parole come “il paradiso”, “luoghi imperdibili”, “luoghi delle meraviglie”, “un posto segreto”… e a maggior ragione abbassare i toni e raccomandare rispetto.

Non dico di non parlarne o non promuovere (in fondo anche io ci ho fatto un programma radio e pure una guida sui luoghi minori di Lombardia) ma con realismo.
Ci vorrebbero, da parte di chi scrive, prudenza e l’abbandono di un linguaggio che premierà la SEO ma non fa un servizio oggettivo al lettore.

E ci vorrebbe, da parte di chi si muove, del turista, maggior senso critico.

Mi infastidisce la pretesa di avere “la pappa pronta”, le indicazioni precise, chieste sui social anche con aggressività. Mi turba l’incapacità di cercare l’informazione, anche quando magari basta scrollare un po’ più in giù o sfruttare meglio le ricerche per trovare informazioni già date altrove.

Le cascate dell’Acquafraggia, in Valchiavenna. L’amministrazione comunale ha dovuto mettere il numero chiuso

Ho letto più volte anche commenti che mi sono parsi deliranti che sostenevano che se un posto è bello “è diritto di tutti andarci”. L’ho letto nei confronti della chiusura da parte degli amministratori locali di alcuni luoghi nella natura, di alcuni sentieri, dell’istituzione di un biglietto di accesso o di un limite massimo di persone per preservare il territorio.

Andare in un posto, che ha i suoi ritmi, la sua fragilità, la sua cultura, la sua comunità che ci vive, *non* è un diritto, semmai un privilegio.

E a volte bisogna riconoscere che no, è meglio non andarci.

Mentre facevo questa riflessione ci siamo imbattuti, facendo una camminata in Val d’Intelvi, in una delle ormai famose panchine giganti. Ce ne siamo accorti, prima ancora che per il cartello che la segnalava, per il numero di persone incontrate in quel tratto di sentiero: “ma come mai tutta questa gente tutta in questo punto?!”, e dietro la curva, eccola.

Questo delle big bench è un esempio di quanto stavo dicendo.

Anche su questo fenomeno c’è un dibattito interessante: c’è chi le “colleziona”, chi le trova un obbrobrio, chi le posiziona nel proprio territorio per attrarre turisti.

A me in generale non fanno impazzire: non abbiamo mai programmato di andare a vederle apposta. Però è capitato alcune volte, come questa, che essendo già sulla strada, potesse essere l’incentivo di arrivare fino a un punto: invece che “arriviamo fino alla staccionata taldeitali” o “alla fontanella vattelapesca“, abbiamo detto “arriviamo fino alla panchina gigante”: alle bambine piace salire, è un gioco.

big bench panchine giganti - Castel Boglione Monferrato
La panchina gigante nelle vigne di Gianluca Morino, che ogni tanto andiamo a trovare per ben altri motivi… 🍷

Il progetto delle big bench, all’inizio, anni fa, mi sembrava carino, quando era limitato solo a una zona del Piemonte (Langhe e Monferrato, se non ricordo male) e tutto sommato – piaccia o no, d’altronde a molti piace quell’orrore della Cappella di Barolo, che io trovo terrificante – connotava con delle installazioni moderne e colorate un paesaggio specifico.
Poi si è allargato a tutta Italia, e secondo me ha perso il suo senso.

Perché ne parlo qui? Non mi interessa particolarmente, ora, il tema della bellezza o bruttezza o dell’impatto visivo.

Mi interessa soprattutto la questione della valorizzazione del territorio, e dell’educazione del turista: è questo, secondo me, il vero punto.

Questo fenomeno che è diventato virale (non saprei dire se “di massa”, ma per esempio ci sono gruppi su Facebook dedicati agli appassionati di queste big bench che contano 20mila, 50mila iscritti) porta nei paesi e borghi dove sono state installate un nuovo flusso di turisti.

Quanti arrivano in auto fino al parcheggio sotto la panchina, si fanno un bel selfie e riprendono le auto per andarsene? È l’andare in un posto solo per la sua panchina gigante che non va bene, penso. Ogni territorio ha le sue specifiche, e si dovrebbero apprezzare quelle, non fare le file sui sentieri per raggiungere una panchina da Gardaland, ignorando il resto.

Quindi, ok contestare le panchine, ma anche se le eliminassimo, il problema resterebbe e si ripresenterebbe su altre cose.

E il problema è: come educare le persone ad apprezzare, valorizzare e rispettare quel che c’è, senza muoversi in massa come pecore dietro agli stessi consigli?

Forse è ora di smetterla con i vari post e articoli “10 luoghi imperdibili da vedere assolutamente nella vita”.
Anche perché basta poco, invece, per perderli del tutto.

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