gianluca morino di Cascina Garitina
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Cascina Garitina e Gianluca, il vignaiolo più social d’Italia

Quando ero bambina, il vino mi faceva schifo. Ma schifo proprio.
Ricordo quando mio papà mi chiedeva di portare la bottiglia vuota in cantina: prendevo il collo del bottiglione di Barbera con due dita, letteralmente orripilata dall’odore.
Crescendo mi è decisamente passata, ma il Barbera, per me, per anni è stato sinonimo di vino da tavola di bassa qualità.

Ho iniziato a vederla diversamente qualche anno fa, con una bottiglia di Barbera aperta, fotografata, postata su Instagram e taggata… Lo sventurato rispose (semi-cit.).

Lui, quello che rispose, si chiama Gianluca Morino e di quella bottiglia di Barbera era il produttore.

La sua Barbera, oggi, è una di quelle che apro sempre volentieri.
E da quell’incontro sui social, poi, l’incontro è diventato reale.

Abbiamo preso Herbert e siamo andati a conoscerlo nella sua cantina, Cascina Garitina, a Castel Boglione, pochi chilometri da Nizza Monferrato.

Lui è un omone alto e imponente – ma anche un po’ giocherellone, le bambine lo chiamano “Il Gianluca che ci ruba sempre il cerchietto”– a cui piace molto raccontare la storia delle sue vigne e del suo vino.

Una storia che inizia nel 1900, anno tondo tondo, inizio di secolo.
E inizia con una lei, Margherita, che veniva chiamata con il diminutivo in dialetto piemontese Garitina. È lei che ha dato il nome e il via all’azienda vinicola che oggi è alla quarta generazione.
Il suo ritratto campeggia nella sala in cui il suo bis-nipote fa oggi assaggiare i suoi vini.
Margherita rimase vedova durante le prima guerra mondiale, e fu allora che la casa e l’azienda presero il suo nome.

Dopo di lei vennero il figlio Giovanni, il nipote Pasquale, papà di Gianluca, e ora lui.

Che, da parte sua, il vino l’ha sempre avuto nel sangue: nato durante i giorni della vendemmia, a cinque anni iniziò a dichiarare che da grande avrebbe voluto “fare il vino”. Non ha mai cambiato idea.
Dopo gli studi superiori alla Scuola enologica di Alba prese la specializzazione in viticoltura e enologia e fece il tirocinio in una grande cantina della zona. Nell’azienda di famiglia iniziò a lavorare appena tornato dal servizio di leva, e dopo pochi anni suo padre fece un passo indietro e gli lasciò il timone.

È allora che inizia la sua prima grande battaglia: quella, insieme ai compagni di studi e produttori vicini, per far riconoscere la denominazione docg alla Barbera d’Asti superiore Nizza, oggi, dal 2014, semplicemente “Nizza”.

Un vino che si produce solo qui, nei 18 comuni del Monferrato attraversati dal Rio Nizza, e con un disciplinare molto rigido.

Qualcosa di cui Morino va molto fiero, su cui ormai sta concentrando la maggior parte della propria produzione (l’80% dei suoi 26 ettari di vigne sono piantati a barbera), e su cui è impegnato in una enorme e molto social campagna di informazione e promozione.

E quella per i social network è l’altra sua grande passione, al punto da essere stato definito il vignaiolo più social d’Italia.

Morino è attivissimo su quasi tutte le piattaforme social, e i numeri fanno impressione: ha superato i 10mila follower sulla sua pagina facebook, ne ha altrettanti su twitter e su instagram, su cui ha appena aperto un secondo profilo, e intanto sta pensando di sbarcare anche su youtube.

«Per me è una opportunità per cercare di costruire e far emergere una azienda, più moderna e costruita in modo diverso.
È una strada alternativa ai canali classici di vendita del vino, i social network mi permettono di avere un contatto diretto con il consumatore finale del mio vino. Perché è lui il pezzo importante della mia azienda, è su di lui che posso e devo investire – è la sua visione. –

gianluca morino di cascina garitina il vignaiolo più social d'Italia

«È chiaro che ci vuole molto più tempo e pazienza: se io comunico, ad esempio, con il mio distributore in Svizzera parlo con uno, se lo faccio con chi poi compra e beve il mio vino devo farlo con cento persone, e tutti e cento fanno una domanda e a tutti devo e voglio dare una risposta».

Una strategia che funziona anche economicamente, però, se è vero che più del 60% del suo fatturato dell’ultimo anno arriva da contatti generati, curati e cresciuti sui social.

«Ho creato relazioni con un importatore da New York tramite twitter, con la Norvegia tramite instagram, con l’Estonia da facebook, per fare solo qualche esempio. Capita anche che mi seguano dei privati che poi vanno a chiedere al proprio distributore di procurargli i miei vini.
Ma non mi hanno solo seguito: mi hanno fatto delle domande, ho risposto loro, c’è stato uno scambio. In pratica, mi conoscono».

Gli account di Gianluca sono molto interessanti proprio perché non fa promozione dei propri vini in senso stretto: quello che lui fa è una vera e propria informazione.
È stato molto attivo in una campagna contro l’uso dei diserbanti in vigna, tracciabile con l’hashtag #nogliphosate, e dalla scorsa estate ha lanciato il progetto #vitadaviticoltore.

«Attraverso foto e video faccio informazione diretta e quotidiana della vita di un agricoltore in vigna, problemi, riflessioni di un vignaiolo, spiegazioni di problemi o malattie che ho in quel momento in vigneto.
È il mio modo per spiegare e raccontare com’è la vita reale chi fa questo mestiere, e non affidarlo solo quei contenuti fatti per conto di grandi azienda da agenzie di comunicazione che spesso stanno a Milano e non hanno idea di come sia davvero il lavoro qui».

E quello che vorrebbe, in futuro, è che dall’incontro virtuale le persone passassero a quello reale: «vorrei portare le persone che mi seguono sui social qui, fisicamente: a provare i vini in cantina, a vedere le mie vigne, a comprare qui. – conclude – Credo che questa sia il futuro per le aziende piccole come la mia: valorizzare il rapporto diretto con i consumatori, portarli in cantina, per essere meno schiavi degli intermediari.
All’estero, ad esempio in California, fanno già così: tutte le aziende medio piccole vengono quasi tutto in cantina.
Per continuare a lavorare bene, questa è la strada».

Questa storia è stata pubblicata anche sul numero di novembre 2017 di Scarp de’ tenis

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