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Nove in famiglia all’Arsenale dell’accoglienza

A Borghetto Lodigiano, un paese immerso nella campagna a sud di Milano, da dieci anni esiste l’Arsenale dell’accoglienza.

Un nome grandioso, per un progetto che di grande ha soprattutto le braccia e il cuore.
Si tratta di una associazione di famiglie che hanno stretto un patto di fraternità per vivere concretamente, nella vita quotidiana, l’accoglienza e il sostegno di chi ha bisogno.

Tre famiglie di loro abitano, proprio fisicamente, nello stesso contesto, mentre altre dodici che fanno parte della fraternità vivono in altrettante case sparse per il paese.

«La nostra accoglienza non è una casa unica, ma l’intero villaggio. Quindi ciascuna famiglia ha l’intimità della propria casa, ma il borgo è così piccolo che arriviamo a essere presenti in maniera diffusa in tutto il paese, siamo vicini di tutti» – mi racconta Andrea Zanelli.

Andrea e la moglie Daniela sono sposati da 7 anni e da 4 fanno parte di questa comunità. Inizialmente hanno accolto dei bambini in affido, poi ne sono arrivati due loro, che oggi hanno 3 anni e 9 mesi.
Ora, in famiglia, sono in nove, contando i “figli in affido” che vanno dagli 8 ai 16 anni.

«È un’esperienza molto divertente, se posso dirlo, perché ognuno porta un pezzettino della sua diversità, e quindi porta ricchezza.
È molto interessante vedere come i nostri figli percepiscano i più grandi come fratelli maggiori e i grandi si prendano cura dei piccoli come se fossero realmente i loro fratellini.
Ovviamente alcune cose sono molto chiare: vogliamo molto bene ai ragazzi che accogliamo e facciamo per loro tutto quello che possiamo, come se fossero nostri figli. Ma siamo ben consapevoli che nella loro vita siamo un ponte, un passaggio, lungo o breve, ma che un giorno dovremo lasciarli andare.
Dall’altra parte facciamo anche attenzione a ritagliarci degli spazi che siano di esclusività per i nostri due figli naturali».

Nella comunità loro, che hanno tra i 30 e i 40 anni, sono la coppia più giovane, poi ci sono Andrea e Giuditta, la “coppia storica” di questo progetto, che sono tra i 40 e i 50. e poi ci sono i più giovani, alcuni fidanzati, che come volontari e amici collaborano con l’associazione, e coppie più adulte che arrivano fino ai 60 anni.

Oggi l’Arsenale dell’accoglienza è formato quindi da tre comunità familiari, composte dalla coppia residente, il centro della comunità, con cui collaborano educatori professionali, e che accolgono minori per i quali il tribunale ha disposto un allontanamento dalle proprie famiglie.

Oltre ai loro appartamenti, hanno anche due “case rifugio” per donne e nuclei mamma-bambino vittime di violenza.

E ci sono poi gli alloggi “in autonomia”, il primo nato per uno dei “loro” ragazzi che aveva compiuto 18 anni e non poteva tornare nella sua famiglia, perché la situazione che aveva portato al distacco non si era risolta, ma che non aveva altro posto in cui andare e non poteva farcela da solo.

«Così ci siamo chiesti: come possiamo garantirgli un luogo che non sia più la comunità ma che sia allo stesso tempo un luogo protetto? – continua Andrea – Oggi abbiamo tre case di questo tipo, in ciascuna delle quali ci sono tre ragazzi e ragazze tra i 18 e i 21 anni. Attualmente sono tutti italiani, tranne un ragazzo di origini camerunense che aveva vissuto anche da minorenne in una delle nostre famiglie».

«Ci rendiamo conto di quanta povertà ci sia intorno a noi: vicina, nascosta, che non arriva da lontano – Andrea racconta di una bambina che hanno accolto in casa loro. –

Era una ragazzina, italiana, proveniente da un paesino del lodigiano, non lontano da noi, che i primi giorni in casa nostra ci chiedeva di poter avere un bicchiere di carta con due dita d’acqua e di poterlo mettere nel congelatore.
All’inizio non capivamo il motivo, poi ci ha raccontato che lo faceva a casa sua, quando non aveva da mangiare e usava questo trucchetto per poter avere qualcosa, la sera, da mettere in bocca».

Essere una famiglia affidataria vuol dire, a un certo punto, saper lasciare andare. Ma lasciare andare accompagnando, perché si è un ponte verso un’altra famiglia.

E si emoziona quando racconta della bimba «che è stata con noi da quando aveva 3 anni fino a quando ne ha avuti 5, e con lei abbiamo fatto il percorso di avvicinamento all’adozione.
Oggi dopo tre anni e mezzo ancora la sua mamma e il suo papà ci mandano foto e video, e la sappiamo felice nella famiglia che ha trovato, e per noi è emozionante sapere che questa felicità è stata possibile anche grazie alla nostra disponibilità».

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