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Italiani senza cittadinanza, sui banchi di scuola

«… no se detienen los procesos sociales ni con el crimen ni con la fuerza.
La historia es nuestra y la hacen los pueblos»
Salvador Allende, 11 settembre 1973

Quando risento “il metallo tranquillo” della sua voce, in quell’ultimo discorso di 44 anni fa, mi vengono sempre i brividi.
L’11 settembre lo ricordiamo per diversi eventi storici, e uno è proprio quel golpe in Cile che uccise il presidente Allende e segnò l’inizio della dittatura del generale Pinochet (sì, stava in Cile, non in Venezuela, eh).

È da quella dittatura che nel 1982 fuggirono e arrivarono in Italia i genitori di Paula Vivanco.
Qualche mese dopo la mamma, arrivò in Italia anche lei. Aveva sette anni.

Da allora ha sempre vissuto qui, ha frequentato le scuole qui, ma ha potuto ottenere la cittadinanza italiana solo un quarto di secolo dopo, all’età di 33 anni.

Oggi, dopo che qualche anno fa è stata promotrice della Rete G2 – che riuniva ragazzi di seconda generazione, figli di immigrati in Italia da diversi Paesi del mondo – dicevo,

oggi è una delle organizzatrici del movimento Italiani senza cittadinanza, che spinge per una rapida approvazione della riforma della legge di cittadinanza.

«Anche il mio esempio personale racconta come la legge in vigore non vada bene: ho vissuto e partecipato alla vita sociale della comunità in cui vivo e di cui faccio parte, quella italiana, eppure, quando chiesi il riconoscimento della cittadinanza la prima volta, a vent’anni, mi fu negato», racconta con il suo accento romano.

Motivo? Il reddito troppo basso.
Lei, all’epoca, studiava e lavorava contemporaneamente, e.. l’avete fatto anche voi? Allora lo sapete: quello con cui si vive è un reddito basso.
Ma per lei fu un ulteriore ostacolo al riconoscimento dei suoi diritti.

L’ha potuta richiedere poi a trent’anni, e tre anni dopo arrivò il passaporto.
«Io ho potuto votare per la prima volta nella mia vita a 33 anni.
Se penso che sono nata in una dittatura dell’America Latina, e una volta trasferita in una democrazia occidentale non ho avuto il diritto di voto per tutti quegli anni, mi vien da pensare che non sia una bella storia da raccontare».

Il legame con la scuola è uno dei rapporti più forti e più importanti per questi ragazzi “italiani senza cittadinanza”.
Al punto che, proprio simbolicamente, qualche mese fa hanno inviato ai senatori delle cartoline speciali, per chiedere loro di votare una nuova legge sulla cittadinanza e per raccontare la propria storia in immagini.
Sì, perché le cartoline inviate dai giovani del movimento “Italiani senza cittadinanza” erano in realtà le loro foto ricordo degli anni della scuola, quella scuola frequentata in Italia e che li ha fatti crescere, di fatto, italiani.

«Ciascuno di noi ha scelto una propria immagine dall’album dei ricordi, quelle fotografie tremende in cui si viene sempre male, con il grembiule fuori posto o gli occhiali che vorremmo dimenticare, ma a cui teniamo molto perché raccontano la nostra storia – mi ha raccontato Paula. – Io stessa ho inviato una mia foto a sette anni, il mio primo giorno di scuola in Italia». (qui la cartolina Paula, e tutte le altre)

Sono, oggi, un centinaio di giovani in prevalenza ventenni, ci sono molti trentenni, solo due “over 40”: oltre a Paula, anche la scrittrice Igiaba Scego, italiana con origini somale. Abitano in tutta la Penisola, da Roma a Reggio Emilia, da Padova a Milano, da Como a Palermo, fino a Salerno e Napoli.

Lottano per chi di loro non ha ancora visto riconoscere la propria identità, ma soprattutto lo fanno per quegli 825mila bambini e ragazzi che da domani saranno sui banchi della scuola italiana, e che stanno faticosamente percorrendo la loro stessa strada.

Lo diceva anche Salvador Allende, non si fermano i processi sociali con la forza.
La storia la facciamo noi.

 

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